Welfare e disabilità


La Costituzione entrata in vigore l’1 gennaio 1948, stabilisce i principi fondamentali della neonata Repubblica Italiana e nel suo darsi, cerca e tenta, nel limite del possibile di diminuire le differenziazioni sociali, soprattutto sul lato della dignità del soggetto individuale.

L’articolo tre della stessa, si legge: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono ugual davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza di lingua, di religione, opinioni politiche … ” etc. Nell’articolo diciotto col sancire il fondamentale diritto al mantenimento e all’assistenza sociale costituisce, all’interno del costitutivo universo egualitario, due categorie di persone: i lavoratori e i cittadini inabili, quelli sprovvisti di mezzi di sostentamento, dichiarando in modo esplicito e palese; “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano provveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale”.

Anche se sono trascorsi 76 anni e passi avanti se ne sono fatti parecchi nell’ambito dell’inserimento sociale dei cosiddetti ‘Disabili’, vi è da dire che ancora siamo rimasti al concetto dell’Assistenzialismo. Non siamo anche riusciti a capire che la disabilità non è cerebrolesi sensoriale o handicap, ma semplicemente un modo d’essere che, attraverso un proprio pensare, parlare, agire e soprattutto fare, la persona si autocrea, autoinventa e nel limite del possibile, autogestisce.

Attenzione. Non stiamo parlando d’infermità motoria, come un alettato o di soggetti con cerebrolesi massimale, ma di lentezza nei propri movimenti, difficoltà linguistiche, sotto forma di voce non chiara e non vedenti che come nella praticità possono rappresentare dei rallentamenti del proprio fare, sotto l’aspetto umano o creativo, non hanno nulla in comune con il poter raggiungere, realizzarsi e via discorrendo.

Non facciamoci ingannare dalle apparenze o dell’intellettuale di turno, perché il primo Welfare sull’inabilità o disabilità risale alla fine dell’ottocento e nel 48 del secolo scorso, era riservato solo alle gravità corporee dei soldati ritornati dalla guerra. Ovviamente era una forte contraddizione questa, soprattutto dal fatto che nasceva disabile, veniva considerato, inutile, insignificante, una vergogna per la famiglia e chi lo diventava, un eroe con tutti i diritti.

No. Non è una critica per polemizzare, ma uno stato di fatto che può aiutarci a capire in modo concreto, la realtà di oggi che sembra di non voler andare al di là del concetto assistenziale. Non facciamoci ingannare dalle apparenze, perché anche se pur vero che i tempi sono cambiati, sotto l’aspetto del Welfare verso gli anziani, i disabili, famiglie numerose e quant’altro, il concetto o pensiero di Assistenzialismo, non è affatto cambiato o abolito in modo concreto e finché durerà questo atteggiamento nei confronti dei più disagiati, non ci sarà mai cambiamento, sia sotto l’aspetto civile che democratico.

La prova sta nel fatto che tutte le leggi dell’inserimento scolastico, sociale e lavorativo della persona disabile, sono state fatte dalla seconda metà degli anni settanta e prima meta dei novanta, cioè, Prima Repubblica. Repubblica che nonostante i suoi difetti e contraddizioni, credeva al benessere dei suoi cittadini e non al privilegi del più forte o astuto.

Oggi, si parla tanto di disabilità. Termine questo che io non ho mai accettato. Preferisco ‘Handicappato’, anche perché come Handicap, significa ‘Ostacolo’, sotto l’aspetto umano, nessuno è tanto sano in salute, abile fisicamente, senza tabù o pregiudizi da giudicarsi o giudicarlo, persona perfetta o immune di bisogni oggettivi e soggettivi. Ciò, significa che come apparteniamo a una figura oggettiva e a dei bisogni oggettivi, in egual misura, siamo tutti disuguali, ma non dissimile. Lascio a voi, pensare cosa ci possa o come possiamo sentirci, quando ci chiamate ‘Invalidi’, dato che la validità o invalidità, la si può dare agli oggetti.

Oltretutto, se chi è seduto su un trono a rotelle, non possiede la vista o senza un arto è definito ‘Invalido civile’, come possiamo definire o giudicare chi ammazza l’ex ragazza, moglie o compagna o picchia bambini di tenera età in un asilo pubblico, anziani e disabili in una casa di riposo?

Sì, certo. Solo la matematica non è un’opinione.

Al di là di una perfetta agilità nei movimenti, linguaggio non chiaro, mancanza di vista o altro, siamo tutti cittadini con doveri e diritti, sia nei confronti di noi stessi e principalmente nei riguardi della nostra cittadinanza.

Si parla tanto di disabili ma riguardo ai tagli, agli insegnanti di sostegno che mancano nelle scuole, ai non posti di lavoro per i cosiddetti ‘Diversamente abili’, (termine anche questo, insensato, poiché ognuno ha una propria destrezza), ma non di pensione e di supporti adeguarti, come mezzi di transito, piste ciclabili sulle quali possono transitare anche le carrozzine dei non camminanti e via dicendo. Anzi, il governo Meloni, ha avuto il coraggio di tagliare 400 milioni di euro all’assistenza per i disabili per carri armati di guerra, quando la nostra Costituzione, ripudia la guerra. Hanno avuto il coraggio di parlare di ministero dei disabili e non si sa cos’è e ciò che è peggio, sta che i vitalizzi sono aumentati, - unico caso in cui la crisi economica non centra -, e la pensione di inabilità al lavoro, nel 2023, era di 313, se non sbaglio. Più assegno di accompagno, che secondo loro va dato a chi ci accudisce.

Fatto strano è che se ti metti una badante, la devi assicurare, darle da mangiare, tutelare i suoi diritti e via ricorrendo.

Senza contare che in una struttura sanitaria o RSA, ci vogliono minimo 1.200 euro, se ti va bene. E poi, abbiamo pure il coraggio di parlare di servizi sociali.

Ecco il perché preferisco essere definito Handicappato e non disabile. Certe cosa non le capisco, come non capisco, quando la Meloni ha detto e afferma tutt’oggi; “Prima gli italiani!”.

E sì. Italiani come lei che ha bisogno di un voto per sentirsi qualcuno, invece di responsabilità etica e senso civico per costruire qualcosa con qualcuno.

Il ‘Con’, non è a caso o detto di getto come può sembrare, poiché è l’unica proposizione o metodo che ci può aiutare o guidare, non solo ad aiutare ma convivere con gli altri; a condividerne le difficoltà, i problemi, il senso di solitudine che è la radice del proprio sentirsi inutili o ancor peggio, inferiore a qualunque altro suo simile.

‘Con gli altri e non Per gli altri’, significa ascolto reciproco, confronto, solidarietà, cammino e crescita comune, attraverso un dialogo sincero e costruttivo, poiché, come lo studio ci può aiutare a comprendere meglio o prendere consapevolezza di un qualcosa o argomento specifico, è sempre il dialogo e l’ascolto sincero, ci permette o dà la possibilità di Creare insieme che è l’opposto di ‘Assistere’ che prende corpo attraverso un ‘PER’ assistenziale, contorto, umiliante ed esclusivo. Solo chi crede di assistere o accontentare gli altri, rischia, come molto spesso accade, di perdersi o smarrirsi nella propria indifferenza.

“Ma che cosa vogliono questi disabili? Stanno bene! Pensione, accompagnatore, agevolazioni fiscali e chi più ne ha, più ne metta!”.

Niente, signore e signori. Semplicemente essere noi stessi che significa ‘Vivere’, non ‘Sopravvivere’, Essere membri attivi della comunità i cui viviamo che non significa essere rispettati o assistiti, ma considerati e valutati per ciò che siamo e non per quel che rappresentiamo. Siamo cittadini prima di tutto e l’unica differenza che c’è tra noi e voi, sta che se voi camminate con le vostre gambe, noi ci muoviamo con le nostre carrozzine; se voi parlate un linguaggio chiaro, noi comunichiamo con gesti e scritture; se voi salite le scale, facendo due gradini alla volta, noi possiamo raggiungervi con un ascensore.

Sì. È facile dire, “Siete o meglio, siamo tutti uguali”. Il difficile è capire che invece di uguali, siamo Simili.

Sì. Disuguali ma non Dissimili, poiché non possedere un linguaggio sufficientemente chiaro, gambe che ti permettano di camminar dritto o la vista degli occhi, non significa essere degli eterni sofferenti da curarli l’anima o guidarli verso una falsa pacificazione dei sensi. Sì, cose importantissime, ma lasciano l’amaro in bocca se invece di tramutarsi in ascolto, condivisione, collaborazione si fermano a un semplice Per.

Il bene o benessere dell’altro, qualunque esso sia, migrante, anziano, drogato, senza tetto, non si dona. Si costruisce insieme, attraverso l’ascolto e il silenzio reciproco. Questo dovrebbe essere il compito degli addetti ai servizi sociali, poiché solo con il Con riflessivo, si può creare, non una città, ma una comunità più equa e responsabile nei confronti di se stessa e della propria ragion d’esistere.