NOI: UN PRESENTE CONDIZIONATO DAL PASSATO

Sin dal primo momento che usciamo dal ventre materno, ognuno è proiettato verso il futuro per raggiungere la realizzazione del proprio essere persona attraverso lo studio, il lavoro e quant’altro. La vita umana, poiché è fatta soprattutto di momenti sovrapposti e contraddittori tra loro, creano nel nostro essere anima, dolori o gioie, sofferenze e speranze, insicurezze e piccole certezze. Detto ciò ed essendo a conoscenza che come tutte le cose sono destinate a perdersi, fa si che su ogni situazione che attraversiamo si comprenda che può avere sviluppi sia in senso positivo e sia in negativo. Perciò, cos’è il futuro? Esiste veramente? O è una parola che serve esclusivamente a sostituire il termine speranza? Domani vado al cinema; da grande voglio fare il medico; fra tredici mesi e mezzo mi sposo e ci saranno 200 invitati ... e molte altre aspirazioni ancora.

Ecco, il nostro sperare o più semplicemente il vivere, sta nell’avere le idee chiare su cosa fare o realizzare. Ciò serve per il nostro benessere e per eguagliarci agli altri; e questo stato di fatto non è che si ha solo nel momento in cui abbiamo un’idea chiara di ciò che desideriamo concretizzare nella vita, ma per tutto l’arco della nostra esistenza e con nessun vincolo d’età. Basta tener vivo l’intelletto e la voglia di voler raggiungere e non abbandonarsi mai a se stessi, perché se pur vero che molte volte si perde l'entusiasmo di fare e di desiderare, in fondo al nostro animo vi è sempre un desiderio o un qualcosa da soddisfare, oppure adempiere qualcosa per raggiungere il nostro benessere.

Detto così, il discorso non fa una piega, ma vi è dai dire che se è pur vero che indietro non si può ritornare, perché la nostra esistenza è solo a senso unico, più veritiera è la circostanza del fatto che, nonostante siamo proiettati sempre in avanti, il futuro non lo possiamo determinare noi. O meglio: pensiamo di esistere solo noi, con i nostri progetti, con i programmi che cerchiamo di realizzare e portare a termine con la nostra forza di volontà e determinazione e non pensiamo mai che tutto finirà prima o poi. Ciò che ci fa più male e a volte ci distrugge emotivamente, sta nel non mettere mai in conto e tenere presente che, come ogni cosa nasce anche muore. Così allo stesso modo, ciò che costruiamo o creiamo può essere anche perso, perché può essere rubato e non soltanto dagli altri, ma in modo atroce da una crudele sorte o da una fatalità inaspettata.

Non forse, ma è certamente il nostro non mettere in conto, tenendolo sempre presente poiché siamo mortali, tutto può finire: ad esempio un grande amore, una grande amicizia, una gioia e una speranza; un giorno triste come uno sereno o un matrimonio che può finire a causa di svariati motivi. Oltretutto, credo che come nell’amore, anche nella perdita di una vera amicizia vi è una sofferenza grande, dato che le due cose, come ci aiutano e guidano verso il rafforzamento del credere in noi stessi, altrettanto donano la gioia di essere e soprattutto sentirsi, se non importanti, almeno vitali per qualcuno.

Solo con chi ci ama o è amico veramente, oltre al coraggio di parlare per raccontarci le nostre paure, addossandoci vicendevolmente delusioni, sofferenze, segreti intimi e profondi, troviamo anche e soprattutto la libertà di sfogarci, piangere senza vergogna; giacché sicuramente non saremo giudicati e tanto meno visti come dei piagnistei. Il ciò non toglie, però, che come singoli si nasce, soli si soffre: e non perché gli altri facciano fatica a comprenderci o se veri e autentici amici improvvisamente diventano indifferenti, ma per il fatto che come si ha un corpo, un’anima si possiede; e mai nessuno potrà assimilare e comprendere in modo autentico ciò che ognuno prova intimamente. Anche se si è simili, ognuno è un ineguagliabile da un qualunque altro “Io”; tutto si può uguagliare, tranne il sentire della propria anima, da cui viene fuori la reazione emotiva.

La tragedia della vita è ciò che muore dentro ogni uomo col passar dei giorni”, diceva Albert Einstein, soprattutto nel momento in cui ciò che la vita ti dona, qualcuno o qualcosa sopra di essa ti porta via senza compassione e pietà nei confronti di nessuno. Sicuramente per gli intellettuali o filosofi e con maggiore particolarità i cristiani, giudicheranno questo mio pensiero come uno dei peggiori sentimenti pessimistici e nichilistici, ma dato che la vita di ogni persona è animata da una individuale emotività, se da un lato si sviluppa con l'appagamento dei suoi bisogni, dall'altro si deteriora e si deprime attraverso i drammi e le sofferenze del proprio esistere. Il dramma del saper valutare o distinguere il giusto dall’errato oppure il radicale dal razionale, sta nella radicalizzazione del proprio sentire, anziché dal possedere la capacità di saper trovare un equilibrio che sia accettabile e condivisibile da tutti, soprattutto nel momento in cui tutto appare senza Dio o meglio collegato a un Dio senza potenza.

Radicalità nel senso che, come si è singoli e si appartiene a se stessi, l’appartenenza in un se stessi sta nel sentire e provare la propria originalità nelle intime emozioni e sensazioni le quali, se da un lato sono nutrimento del proprio animo, dall’altro provocano lo svuotamento del proprio credere. Perciò credo che non sia per nulla facile l’accettazione di eventi semplicemente negativi, ma atrocemente drammatici, soprattutto nel momento in cui, anche per un plausibile motivo, si fa fatica a capire se fu la sorte o un crudele fato a potarti via ciò che la vita ti aveva donato sotto forma di compenso per quanto la natura o le circostanze avverse ti avevano negato. Sì, è vero, e ne sono concreto testimone.

Se a ognuno di noi la natura ha tolto o negato qualcosa, nonostante le sue ambiguità, contraddizioni e avversità, la vita è sempre pronta a ricompensarci con sorprese che, oltre a lasciarci senza fiato, ha tutte le sembianze che voglia o desidera chiederti scusa per come s’è presentata a te e al tuo divenire; tenendo presente, come già detto, che l’adempimento del proprio destino dipende esclusivamente dalla volontà e dalla forza di crederci. La sorpresa della ricompensa della vita è un qualcosa che riempie la tua esistenza di progetti e speranze nuove, come se volesse essa stessa guidarti verso orizzonti nuovi e senza confini, poiché se è pur vero che la cosa più importante per qualsiasi persona è il raggiungimento della propria realizzazione nello studio, nel lavoro e nel crearsi una famiglia, ve né un’altra dal valore illimitato, insuperabile e imprescindibile: l’amicizia. Soprattutto se nascendo per caso, essa si forma nella spontaneità dell’essere, che non sta nel progettarla ma nel credere forse che né tu e il tuo animo poteva pensare che fosse possibile.

Ecco cosa è il destino della natura umana: non solo portare a termine il proprio dovuto, ma ricevere sorprese anche inaspettate, che nel toglierti dalla solitudine materiale ed emotiva, ti consenta di vedere orizzonti che ti gratificano l’animo, facendoti sentire una persona nuova e ricompensata per quello di cui hai sempre creduto. Si dice che col tempo tutto passi, che si affievoliscono anche i dolori più grandi e le atroci sofferenze. Sì, è vero che il tempo cura le ferite, ma solo le visibili sul corpo, che in gergo chiamano cicatrici. L'animo o lo spirito, invece, li abbandona a ognuno per se stesso!

Oltretutto se fosse vero che la fede in un Dio, potesse aiutarci a spazzare via dalla nostra mente e da quel pozzo senza fondo che si chiama anima e in cui si racchiudono tutti i nostri ricordi, sofferenze, sensazioni, emozioni e gioie, con un passato e un presente, saremmo dei banali atomi. Come se ciò fosse in funzione di un qualcosa che per valorizzarsi avrebbe bisogno solo di una perfetta funzionalità oggettiva, anziché essere come realmente siamo fautori di una propria sensitività soggettiva. Si tratta della ricerca, invece, di un qualcosa che potesse essere qualcuno che oltre aver fiducia in te, ti sostenga attraverso il suo appoggio pratico, emotivo e spontaneo, che faccia di tutto affinché tu possa raggiungere gli obiettivi e desideri che, soltanto con la tua più grande forza di volontà e determinazione, non sarebbero mai possibili da realizzare. Sì, sono irraggiungibili per te, perché la natura, il caso o la sorte non ti hanno fatto nascere con le stesse agilità motorie di una qualunque altra persona. Ti è stata negata, oltre la libertà di muoverti liberamente, di esprimerti attraverso un linguaggio fluido e chiaro, abbandonandoti con l’eterno enigma di non sapere se fosse stato meglio, essere totalmente cerebroleso, piuttosto che cosciente di ciò che sei e dei desideri che hai e vorresti realizzare o raggiungere.

Ciò avviene non a causa della tua limitazione nei movimenti, bensì per l’ipocrisia e la falsa stima che molto spesso ti circonda e che si basa sul facile buonismo caritatevole. Detto questo, vorrei anche aggiungere che non so se sia stata la cattiva sorte o il caso a togliermi braccia e gambe; certo è che nel 1958 fu il forcipe ha procurarmi le limitazioni motorie o linguistiche, lasciandomi per condanna un cervello sano. Nonostante abbia avuto molte difficoltà, sofferenze e amarezze durante il mio cammin di vita e che tutt’oggi non comprenda a pieno il senso puro dell’esistere, son sempre rimasto dall'idea o convinzione che fu l'arnese citato prima la causa del mio amaro destino. Tuttavia, anch’io ho i miei dubbi, soprattutto sull’esistenza della giustizia divina. Il forcipe è solo l'attrezzo che mi causato le limitazioni motorie, linguistiche e parecchio, anche nell’intelletto come dice o direbbe qualcuno, il resto appartiene a me e alle persone che mi hanno circondato con uguale colpevolezza e responsabilità.

Rispetto a quanto detto, col passar degli anni ho verificato in prima persona che non è per nulla vero che esiste l'autosufficienza in una persona e non solo dal punto di vista pratico, ma principalmente in quello sensoriale e spirituale. La natura a chi ha tolto la vista, a chi l’udito, a chi l’intelletto o la sensibilità; infatti, come vi sono persone che non hanno la possibilità del camminare, esiste anche quella con poca umiltà e rispetto, non solo verso se stessi, ma principalmente e più responsabilmente nei confronti di un proprio prossimo. Se il creato o le circostanze del caso ci privano di qualcosa, la vita non ti lascia mai soli se ognuno si affidi a esso.

La realtà umana è sempre pronta a donarti qualcosa come se volesse ricompensarti per i torti subiti e per le amarezze provate.

Fu molto generosa con me, come se la vita volesse rimproverarmi delle paure, angosce e tormenti, che in sostanza significherebbe non aver mai accettato la mia condizione. Sì, accettata perché, come non è per niente facile rassegnarsi e viverla giorno dopo giorno, in egual misura si ha desiderio anche di avere un amore, farsi una famiglia con dei figli e quant’altro. Desideri questi che significano semplicemente vivere pienamente la propria esistenza, poiché si ha l’umile e concreto bisogno di sentirsi e, soprattutto, avere un piccolo e prezioso pensiero per qualcuno. Molte volte avrei preferito nascere cerebroleso - incapace d’intendere e di volere - per non saper distinguere il bene dal male, il buono dal cattivo e l’ipocrisia dall’onestà.

Ciò non toglie che anch’io sia ipocrita, opportunista, permaloso e talvolta cattivo come tutti. Soprattutto nei momenti in cui ci si vuole difendere da qualche azione malfatta o per un interesse personale. In fondo siamo tutti un po’ umani, e un po’ vigliacchi con noi stessi, nel senso che per colpa dell’egocentrismo a voler sempre di più, non ci si rende mai conto di quello che abbiamo e di quanto siamo stati fortunati; attraverso sofferenze e incertezze, il nostro quotidiano ci mette dinanzi una realtà che, s’è pur vero che il significato o il valore delle cose si capisce solo nel momento che ci mancano, vi è comunque un’enorme differenza nel modo in cui si perdono. Un conto è perderle per sbagli commessi, trascuranza o ingenuità per o verso lo scontato, altra cosa è quando quello che hai è stato rubato da una fatalità troppo crudele e infame nei riguardi nostri e della vita stessa. Non c'è nulla di logico o d’insensato in tutto questo, né tanto meno vi è cinismo o pessimismo; ritengo invece che questa realtà ti costringe a essere dei presenti senza futuro, dato che il nostro vivere sensoriale è sempre sottoposto a molteplici e infiniti perché, spruzzati da piccole e modeste speranze.

Chi sa se supererò l’esame? Chi sa se troverò lavoro? Chi sa se mi pagherà? Chi sa se stasera tornerò a casa per riabbracciare il mio amore e i miei figli? E tanti altri interrogativi che, mescolandosi con programmi o progetti del nostro vivere quotidiano, creano nell’animo umano la speranza che possa andare o procedere tutto bene e, principalmente, che ogni cosa possa andare nel verso giusto. Ciò significa che, come il nostro desiderare e progettare sono il sale del nostro vivere quotidiano, altrettanto veritiero è che tutto sia legato a un filo. Un filo così sottile e delicato che, anche con la nostra massima attenzione e delicatezza, potrebbe metterci al riparo o salvarci dinanzi al caso o a una crudele fatalità del nostro vivere. Salvarci dal fato no, ma riprendere la quotidianità sì. Almeno fin quando la gente non sente suonare le campane per venire a darti, a tua insaputa, l’ultimo saluto, dato che vi è sempre tempo per ricominciare, riacquistare la speranza di un domani migliore e ciò anche quando sembra che tutto ti è contro.

Vi è sempre tempo anche per trovare nuovi amici, un nuovo amore, interessi e quant’altro; salvo, però, che delusioni, amarezze, sconfitte e l’abbandono verso il proprio credo iniziale non abbiano permesso alla morte di appropriarsi della tua anima, anziché del tuo corpo. Realtà questa che potrebbe essere assolutamente inevitabile che succeda, se il fato, il caso o chiunque esso sia, compresa la volontà di un Dio detto dei cristiani, ti porta via qualcosa di prezioso che prende il nome di amicizia, collaborazione, solidarietà, amore, marito, padre, fratello, nonno o più semplicemente ciò che un'anima umana può desiderare e custodire per la disponibilità del suo amore incondizionato verso la vita.

Che brutta bestia, il fato, poiché non avendo nè passato e nè futuro, in quell’attimo di presenza, ti ruba e lascia senza domani